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                    Ormai sono cosciente di lavorare in un’azienda! Quando, 
                    anni fa, decisi di fare l’insegnante e fui assunto nella 
                    scuola in quel ruolo, non immaginavo certo di dover operare 
                    in un’azienda. Anzi, ero convinto che il mondo della scuola 
                    fosse totalmente estraneo ed immune da ogni logica 
                    capitalista. Anche per questo scelsi l’insegnamento, che 
                    reputavo una professione creativa e pensavo offrisse molto 
                    tempo libero, un bene più prezioso del denaro! A distanza di 
                    anni dal mio esordio lavorativo, eccomi catapultato in un 
                    ingranaggio di fabbricazione industriale, con la differenza 
                    che nella scuola non si producono merci di consumo. Del 
                    resto, non mi pare di aver ricevuto una preparazione idonea 
                    ad un’attività manifatturiera - ma si sa, viviamo nell’era 
                    della “flessibilità”! Ormai sento sempre più spesso 
                    adoperare un lessico tipicamente imprenditoriale: termini e 
                    locuzioni come “economizzare”, “profitto”, “utenza”, 
                    “competitività”, “produttività”, “tagliare i rami secchi” e 
                    via dicendo, sono diventati di uso assai comune, soprattutto 
                    tra i cosiddetti “dirigenti scolastici” che non sono più 
                    esperti di psico-pedagogia e didattica, ma pretendono di 
                    essere considerati “presidi-manager”! Perlomeno, in tanti si 
                    proclamano e si reputano “manager”, ma sono in pochi a saper 
                    decidere abilmente come e perché spendere i soldi, laddove 
                    ci sono. Inoltre, anche nella Scuola Pubblica si sono ormai 
                    affermati tipi di organigramma e metodi di gestione mutuati 
                    dalla struttura manageriale dell’impresa neocapitalista. All’interno di questo assetto gerarchico sono presenti vari 
                    livelli di comando e subordinazione. Si pensi, ad esempio, 
                    al “collaboratore-vicario” che, stando all’attuale 
                    normativa, viene designato dall’alto, direttamente dal 
                    dirigente ( prima, invece, era il Collegio dei docenti che 
                    eleggeva democraticamente, cioè dal basso, i suoi referenti, 
                    a supportare il preside nell’incarico direttivo ). Si pensi 
                    alle R.S.U., ossia i rappresentanti sindacali che sono 
                    eletti dal personale lavorativo, docente e non docente. Si 
                    pensi alle “funzioni strumentali”, ossia le ex 
                    “funzioni-obiettivo”.
 In altri termini, si cerca di emulare, in maniera comunque 
                    maldestra, la mentalità economicistica, i sistemi ed i 
                    rapporti produttivi, i comportamenti e gli schemi 
                    psicologici, la terminologia e l’apparato gerarchico, di 
                    chiara provenienza industriale, all’interno di un ambiente 
                    come la Scuola Pubblica, cioè nel contesto di un’istituzione 
                    statale che dovrebbe perseguire come suo fine supremo “la 
                    formazione dell’uomo e del cittadino” così come detta la 
                    nostra Costituzione (altro che fabbricazione di merci! ). E’ 
                    evidente a tutte le persone dotate di buon senso o di 
                    raziocinio, che si tratta di uno scopo diametralmente 
                    opposto a quello che è l’interesse primario di un’azienda, 
                    cioè il profitto economico privato.
 La Mor-Attila e i vari “manager” della scuola, in buona o in 
                    mala fede confondono tali obiettivi, alterando e snaturando 
                    il senso originario dell’azione educativa, una funzione che 
                    è sempre più affine a quella di un’agenzia di collocamento 
                    o, peggio ancora, a quella di un’ area di parcheggio per 
                    disoccupati permanenti.
 Ma perché nessuno mi ha avvertito quando feci il mio 
                    ingresso nella scuola? Probabilmente, qualcuno potrebbe 
                    obiettare: “Ora che lo sai, perché non te ne vai?”. Ma 
                    questa sarebbe un’obiezione aziendalista e come tale la 
                    rigetto!
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