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ADEMPIERE AI PROPRI DOVERI
di Alfonso Maria de Liguori

Indice III | II | I | Spotlights | Controcorrente

Prefazione

Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787)

Alfonso Maria de Liguori
(1696-1787)

Alfonso de Liguori viene alla luce quando Voltaire ha due anni e,  come dice Théodule Rey-Mermet, «crescono insieme il buon grano e la zizzania, il distruttore e il costruttore della fede e dell'amore». Entrambi seguono il direttorio dei Gesuiti: Voltaire al liceo Luigi il Grande di Parigi, Alfonso nella sua casa patrizia di Napoli, così come si conviene ai giovani di ricca famiglia. Alfonso è infatti il primogenito di Giuseppe de Liguori, di antica famiglia napoletana e magistrato del seggio di Portanova. Per diritto di primogenitura è   destinato quindi ad ereditare titoli e beni. Con una precocità che ha dell'incredibile, Alfonso entra già all'età di dodici anni all'Università dove, si racconta, abbia sostenuto anche un esame con il geniale Giambattista Vico, a quel tempo professore di retorica. A diciassette anni riceve il berretto di giudice con la toga di avvocato ed inizia il tirocinio presso illustri giureconsulti.  Rifiuta intanto tutti i brillanti progetti di matrimonio che il padre Giuseppe architetta per lui. Alla conclusione amara di un processo internazionale - in cui difende il duca Filippo Orsini di Gravina contro il Granduca di Toscana Cosimo III de' Medici - Alfonso, deluso dai giudici in cui ripone la sua fiducia, lascia per sempre la professione di avvocato dividendo il tempo tra i suoi amici degli Incurabili e la preghiera.
Nel 1724 entra in seminario e, a trent'anni, viene ordinato sacerdote. Convalescente dopo una malattia a Scala, sulla Costiera Amalfitana, vi rimane per diversi anni e lì fonda il primo nucleo della Congregazione del SS. Redentore. Redenzione, "Redentoristi", e questo sarà il nome dei missionari che accorrono da tutto il regno per condividere il suo progetto e votarsi interamente ai senza- speranza di ogni tipo. Alfonso insegna ai suoi studenti e scrive la Teologia Morale, opera monumentale che gli varrà il titolo di Dottore della Chiesa.
Muore all'età di novant'anni, nella Casa di Nocera de' Pagani, e tuttora continua ad essere presente grazie ai suoi scritti (111 opere, 21000 edizioni in 70 lingue), alla sua spiritualità ed alla sua Congregazione. Canonizzato nel 1839, viene poi proclamato patrono dei confessori e dei moralisti il 26 aprile 1950 da Pio XII.
L'enciclica che viene qui proposta nella sua versione originale è tratta dalla biografia scritta dal suo discepolo Antonio Tannoia ed inviata a tutte le Case in un momento di particolare difficoltà della Congregazione. Trattandosi di disposizioni per rinnovare l'impegno dei membri della sua Congregazione, molta parte di essa è dedicata pertanto a rinforzare la spiritualità dei membri, ma anche a fornire interessanti regole di comportamento "organizzativo".

Luca Liguori (18 dicembre 2005)

Enciclica di Alfonso per maggiormente eccitare ne’ suoi lo spirito di Gesù Cristo, ed impegno per l’adempimento de’ propri doveri
Prego tutti voi Fratelli miei il Gesù Cristo, prima di sentire questa mia, di dire il Veni Creator Spiritus, e domandare luce a Dio, per ben intendere, e mettere in esecuzione quel, che da parte di Gesù Cristo io scrivo a tutti, ed a ciascuno in particolare.

Padri, e Fratelli miei, non sono ancora ventidue anni, che è incominciata la Congregazione, e da cinque anni è stata approvata dalla S. Chiesa; onde dovrebbe a quest’ora, non solo mantenersi nel primo fervore, ma di più esser accresciuta. E' vero, che molti si portano bene, ma in altri invece di avanzarsi manca lo spirito. Questi non so a che anderanno a parare, perchè Dio ci ha chiamati in questa Congregazione specialmente in questi principi a farci santi, ed a salvarci da santi. Chi vorrà nella Congregazione salvarsi, ma non da santo, io non so se si salverà. Se quella mancanza di spirito si diffonde, povera Congregazione! Che ne sarà di te fino a cinquant'anni? Bisognerebbe dire, povero Gesù Cristo. Se non è amato da un Fratello della Congregazione, che ha ricevute tante grazie, e speciali, da chi sarà aiutato? Dio mio, ed a che servono tante orazioni, e tante Communioni? E che ci siamo venuti a fare nella Congregazione, e che ci stiamo a fare, se non ci facciamo santi? Stiamo a gabbare il Mondo, che ci stima tutti per santi, ed a far ridere nel giorno del giudizio quelli, che allora sapranno le nostre imperfezioni. Ora vi sono tanti buoni Novizi; ma questi, e quelli, che verranno appresso, saranno peggiori di noi col nostro esempio, e fra non molto tempo la Congregazione si rilascerà in tutto, perchè dalle imperfezioni si passerà agli scandali; ma se ciò ha da succedere è meglio, Fratelli miei, che preghiamo il Signore, che da ora la faccia dismettere.

Or io son già vecchio e di mala salute, e già mi si va accostando il giorno de' conti. Io voglio servirvi quanto posso, e Dio sa quanto amo più ciascuno di voi, che i miei Fratelli, e Madre; ma non vuole Dio, ch'io metta a pericolo la mia salute eterna per amore (ma amore disordinato) verso alcuno di voi. Tutti siamo miserabili, e tutti commettiamo difetti, ma io non mi accoro de’ difetti, che non si fermano; ma di quelli, che fanno nido, e di certe debolezze, che fanno danno a tutta la Communità. Se alcuno volesse queste sposare ad occhi aperti, e difenderle, o almeno scusarle come compatibili, queste mi dichiaro, che non posso, né devo sopportare. Tali debolezze farebbero, per esempio, o contro l'Ubbidienza, o contro la Povertà, o contro l'Umiltà, o Carità del Prossimo. Io spero a Dio di conservare fino alla morte questo sentimento, e di osservarlo puntualmente come ho promesso a Dio, di non farmi vincere dal rispetto umano di vedere mancare i Fratelli in cose notabili, e di pregiudizio agli altri, senza corrigerli. Voi già sapete, che forse il mio maggior debole è il troppo condescendere, ma spero a Dio, che mi dia fortezza di non sopportare gl'imperfetti, che non si vogliono emendare, e che vogliano difendere le loro imperfezioni. Prego voi, che siete giovani, e che restate a governare la Congregazione, di non rapportar mai un'imperfetto di simil fatta, che dopo il difetto non se ne umilia, e lo difende. Io mi protesto, che nel giorno del Giudizio accuserò nel tribunale di Gesù Cristo quel Superiore, che, per non disgustare alcuno, sopporterà i difetti pregiudiziali, e farà cagione del rilasciamento della Congregazione. Del resto in quanto al passato, se mai alcuno ha fatto qualche difetto, io non intendo qui rimproverarlo; parlo solamente per l’avvenire.

Per venire a qualche cosa più speciale, prego ciascuno di attendere alle cose, che qui soggiungo. Esorto dunque ciascuno a far conto della Vocazione, ch'è il maggior beneficio, che Iddio ha potuto fargli dopo il beneficio della Creazione, e Redenzione. Ne ringrazj ogni giorno il Signore, e tremi di perderla. Non si faccia ingannare dal nemico, se forse gli dirà, che il bene può farlo anche nel suo Paese, fuori della Congregazione, e che fuori troverà più pace. Che bene? Nemo acceptus in Patria sua. Ogn’uno lo sà, e si vede coll’esperienza. Salverà più anime un Sacerdote della Congregazione, in un anno, che in tutta la sua vita fuori della Congregazione. E parlando di profitto proprio, guadagnerà più un Fratello in un anno, con far l'ubbidienza, che in dieci anni, vivendo fuori a capriccio suo. E poi noi abbiamo da fare quel bene, che da noi vuol Dio, e non quello, che vogliamo noi; e Dio vuole che chi è chiamato nella Congregazione, quel bene, e quelle opere, che gl'impongono le Regole, ed i Superiori. Pace, che pace! Quis restitit ei, & pacem habuit. Vediamolo fratelli miei in quelli, che hanno abbandonata la Congregazione. Che pace vuol dare Dio agl'infedeli, che per capriccio proprio, e per non mortificarsi perdono la vocazione, e si mettono dietro le spalle la volontà di Dio? E specialmente in morte che pace ritroveranno, pensando, che muojono fuori della Congregazione? Non mi stendo in ciò, perchè ogn’uno ora già ben l'intende: ma il male è, che quando viene la tentazione, allora più non ci vede, e gli pare non esser male il perdere la vocazione. Questo avverto non pensi alcuno forse col dire, che se ne vuole andare, di metter timore. Per grazia di Dio la Congregazione ora è fornita di molti, e buoni soggetti, e tuttavia ogni giorno vengono giovani di spirito, e di talento, come vedete, giacché è sparso per tutto il Regno il nome della Congregazione, ed anche fuori, e credono che nella Congregazione vi è un grande spirito, e perfezione; (volesse Dio, e fosse vera la metà); e così ci resteranno i buoni, che ancora faranno le Missioni, e gli Esercizj. Ed ancorché avesse da farsi qualche Missione meno, sempre sarà meglio conservare lo spirito di osservanza con pochi, che vedere la Congregazione rilasciata. Daranno più gusto a Dio quelli pochi, che cammineranno dritto, che mille altri che viveranno imperfetti. Onde concludiamo questo punto. Povero chi perderà la Vocazione. Ed incidentemente a questo proposito, io rinovo a ciascuno il precetto formale di ubbidienza, dato da me altre volte di non partirsi dalla Congregazione, senza prima aver ottenuta da me l'espressa licenza, coll’assoluzione, o sia rilassazione de’ voti e giuramento di perseveranza, se pure non l'avesse ottenuto dal Sommo Pontefice.

Prego ciascuno ad ubbidire, così egli, e non resistere alle ubbidienze de' Superiori Locali. Se alcuno vuole esponere qualche difficoltà, ciò gli è permesso; ma prego costui, che prima di replicare, si rassegni a far ubbidienza, se mai la sua replica non gli è fatta buona; onde vada rassegnato, e poi esponga quello che l'occorra; altrimenti se non fà così, resterà inquieto, se non gli è ammessa la sua difficoltà; e restando inquieto il Demonio ci farà molto guadagno. Il Padre della Colombier fece voto d'andar sempre contro la propria volontà: se uno non ha lo spirito di far questo voto, il che non pretendo, almeno deve stare sempre attento a contradire la propria volontà, che è la ruina delle Anime. S. Caterina di Bologna dice, che si debbono eseguire le ubbidienze difficili (perchè nelle facili non ci è gran merito), senza mormorazione né esterna, lamentandosi per esempio, circa il vitto, o le vesti, o il procedere de' superiori (il che è un gran difetto;) né interna perchè la mormorazione interna anche inquieta lo spirito. Specialmente prego ciascuno a non pretendere di mutar casa senza evidente necessità; e quando questa necessità li paresse tale, pure lo prego, prima di far la richiesta, di rassegnarsi totalmente al giudizio del Superiore, se a lui paresse altrimente. Ed io mi protesto di non voler condiscendere in ciò a niuno senza evidente ragione, perchè altrimenti una tale condiscendenza potrebbe essere la fonte di molte inquietitudini a' Soggetti.

Prego ciascuno a non lamentarsi cogli altri di quel, che fanno i Superiori Locali, perchè ciò può essere di gran tentazione così in persona propria, come per gli altri.

Prego ciascuno, cercare sempre a Gesù Cristo il suo santo amore, perchè altrimenti poco serviranno tutti i propositi. E per ottenere questo santo amore procuriamo, d'innamorarci assai della Passione di Gesù-Cristo, con farci un poco di meditazione ogni giorno, e praticare la Via Crucis, quando si può. Si dà un gran gusto a Gesù-Cristo certamente con pensare a’ suoi dolori, e disprezzi patiti per noi. E chi pensa spesso alla sua Passione, mi pare impossibile, che non s'innamora di Gesù-Cristo. E prego i Superiori presenti, e futuri ad insinuare spesso ne' Capitoli l'amore a Gesù-Cristo e alla sua Passione . Noi nelle Missioni non insinuiamo altro maggiormente, che questo amore a Gesù Cristo appassionato; che vergogna sarà comparire nel giorno del Giudizio uno di noi, che averà amato Gesù-Cristo meno di una feminella!

Con ciò prego ciascuno ad amare la stanza, e non dissiparsi nella giornata andando di qua e di là. Siamo avari del tempo per impiegarlo nell’Orazione, visite al SS. Sacramento, che a posta stà con noi, ed anche allo studio, perchè questo a noi ancora è assolutamente necessario. Raccomando a’ Confessori lo studio della Morale, e di non seguitare alla cieca alcune opinioni de' Dottori, senza prima considerare le ragioni intrinseche, e specialmente quelle, che nel mio secondo libro non sono state da me ammesse più probabili. E ciò, dico, e lo dicono anche i Probabilisti, che ogni Confessore è obbligato a farlo dovendosi prima considerare in ogni questione, se vi è ragione intrinseca tale che convinca, perché allora si rende improbabile l’opinione contraria. Solamente quando non restiamo convinti dalla ragione, allora possiamo servirci della probabilità estrinseca. Attenti a questo, perché nella Congregazione temo che alcuni in ciò errano notabilmente. E si avverta, che in questo secondo libro io non ammetto ordinariamente per probabili, se non quelle opinioni solamente, che le chiamo tali. Io non pretendo che le mie opinioni s'abbiano da osservare necessariamente, ma prego prima di ributtarle, a legere il mio libro e considerare quello, che ho scritto con tanta fatica, discorso, e studio. E questa fatica, fratelli miei, io non l’ho fatta per gli altri, né per acquistare lode, ne avrei fatto volentieri di meno, se altro non avessi avuto a ricavare, che un poco di fumo: Dio sa il tedio, e pena, che ci ho sopportato; l’ho fatta solamente per voi, fratelli miei, acciocché si seguiti una dottrina soda; almeno acciocché si proceda con riflessione. Io confesso, che tante opinioni prima io le tenea sode, ma poi ho veduto collo studio presente, che erano improbabili. Onde prego tutti i giovani, e Confessori a leggere il mio libro, mentre a questo fine l’ho fatto, e poi seguitino quello, che loro pare davanti a Dio.

Tra le opinioni improbabili io numero specialmente quella di potersi assolvere l'ordinando abituato in cose di peccato grave, ancorché porti segni bastanti per ricevere il Sacramento della Penitenza; mentre a costui non è solo conveniente, come falsamente suppongono alcuni, ma è necessaria la bontà positiva, non già per ragione del nuovo Sacramento, che prende perché a questo basterebbe lo stare semplicemente in grazia; ma per lo grado d'eccellenza a cui ascende che richiede un'eccellente bontà di necessità assoluta, mentre dicono commumemente i Canoni, ed i Dottori con S. Tomaso, che bontà praexigitur, requiritur, necessaria est, parole, che tutte esprimono vera necessità, non convenienza. E la ragione si è, perchè un tale Ordinando in Sacris, così per l' eminenza dello stato in cui vien posto, come per li ministerii sacrosanti, che deve esercitare, ha d'avere questa bontà positiva, che importa non solo essere esente da colpa grave, ma che possieda ancora un grado di virtù acquistata, per gli atti buoni innanzi praticati. Anch'io prima. difesi l’opinione contraria, ma poi ho veduto essere improbabilissima, e per ciò mi sono rivocato.

Raccomando per ultimo a' Superiori presenti, e futuri l'osservanza delle Regole. In mano loro, sta questa osservanza. Il Rettore Maggiore sta lontano, se il Rettore Locale non vi attende, il Rettore Maggiore non vi puole rimediare. E perciò è necessario, che i Superlori non solamente predichino l'osservanza, ma siino i primi a pratticarla. Più move quel, che si vede, che quel, che si sente. Raccomando insieme a' Superiori, la carità co' soggetti, acciò gli confortino nelle angustie, e cerchino quanto li può di sollevarli ne' loro bisogni, dimandando specialmente nel conto di Coscienza, se loro necessiti qualche cosa. Raccomando sommamente il conto di coscienza ogni mese, che si faccia il primo Lunedì di mese, e quando non si può fare, o compire nel primo, che si faccia nel secondo Lunedì. Raccomando specialmente l'attenzione, e carità con gl'infermi con visitarli, e provederli di rimedii necessarj, quanto si può, con dimandare loro se bisogna qualche cosa, e quando la povertà non lo comporti, almeno consolarli quanto è possibile. Raccomando ancora a' Superiori di fare le correzioni in segreto, perché in pubblico poco giovano, se pure il difetto non sia publico: mentre allora servono per gli altri; ma per lo soggetto, anche allora, è meglio corregerlo prima in segreto e poi in publico.

Ciò in quanto a Superiori. A Soggetti poi in particolare, raccomando a non dire più ad alcuno, che ora nella Congregazione non si va con tanta strettezza, essendo mancata la prima osservanza; mentre ciò non è vero, essendovi li buoni, che mantengono la prima osservanza; e benché i difetti siano cresciuti, perchè è cresciuto il numero de' soggetti, nulladimeno ogn'uno deve cercare d’emendarsi, e di vivere con osservanza, intendendo, che gl’inosservanti che non vogliono emendarsi, dalla Congregazione non possono sopportarsi. Onde ciascuno, quando commette. qualche difetto, subito procuri di umiliarsi internamente se. il difetto è interno, ed esternamente con accusarsene, se il difetto è stato esterno: e cadendo in qualche difetto subito ne proponga l'emenda. Quando alcuno ha qualche rancore contro di qualche fratello, o contro del Superiore procuri di non operare a sangue caldo, ma prima di serenarsi, raccomandarsi a Dio, e poi se lo stima necessario, operi, o pure vada a parlare, o ne scriva al Superiore per amore di Gesù Cristo, di stare attento a questo. Oh quanti difetti s'eviterebbero, se ciò si osservasse, perchè a sangue caldo le cose pajono altrimenti di quelle, che sono. E perciò prego anche i Superiori a non fare le correzioni, quando l’animo sta esasperato, ma aspettare che l'animo si sereni, altrimenti sempre si eccederà, e le correzioni poco gioveranno. Raccomando il distacco da’ Parenti, quanto posso, essendo certo (come dice Gesù Cristo) che questi sono i maggiori nemici della nostra perfezione. Si guardi ognuno di neppure nominare nella Congregazione, stima propria; la maggiore stima che deve avere un Fratello della Congregazione, è l'amare l'ubbidienza , e l'essere disprezzato e tenuto in poco conto. Quest’è quello, che hanno desiderato i Santi, essere disprezzati, come è stato disprezzato Gesù Cristo. E chi non si vuol far Santo, non può durare nella Congregazione. Gesù Cristo medesimo, che ama assai questa Congregazione, ne lo caccerà. Non vuole il Signore, che le prime pietre di questo suo edifizio siano così deboli, che non solo non vagliano a sostenere, e a dare esempio agli altri, che verranno appresso, ma che diano poca edificazione a coloro, che vi sono di presente. Ogn'uno intenda bene. Raccomando ancora l'amore alla Povertà, e ciascuno intenda, che specialmente i difetti contro queste due virtù, cioè, contro la povertà, e contro l'ubbidienza dalla Congregazione non sì sopportano, né possono sopportarsi; perché caduta l'osservanza circa quelle due virtù, è ruinato in tutto, e finito lo spirito della Communità.

Ciocché ho scritto così alla rinfusa, di nuovo mi professo di non scriverlo per alcuno in particolare, ma in generale a tutti, e più per lo tempo futuro, che per lo passato. Del resto prego tutti a non pensare, dall'aver intesa questa mia lettera ch'io forsi conservi qualche rancore verso di alcuno, ch'abbia commesso qualche difetto per lo passato. Mi dichiaro, che de' difetti commessi, conforme Gesù Cristo se n'è scordato, essendosene umiliato come spero chi l’ha commessi, così me ne scordo ancor io. Ed intenda ciascuno, che quando alcuno per disgrazia commetterà qualche difetto, e se ne umilierà di cuore, s’assicuri, ch'io di cuore lo perdonerò, anzi con umiliarsi mi si renderà più caro di prima. Dico ciò, affinché ciascuno non si disanimi, se mai per caso cade in qualche mancanza. Ma ogn'uno stia attento ad evitare i difetti, ancorché minimi, ma fatti ad occhi aperti, perché il Demonio da questi suol condurre a difetti più gravi, e poi tenta a perdere la vocazione. E con quest’arte il Demonio ne può cacciare più d’uno dalla Congregazione.
[...]

Alfonso Maria de Liguori
8 agosto 1754

 

Fonti:
Della vita, ed istituto del Venerabile Servo di Dio Alfonso M. de Liguori, Vescovo di S. Agata de' Goti e fondatore della Congregazione de' Preti Missionari di Antonio M. Tannoia. Vincenzo Orsini - Napoli, 1798.

Alfonso de Liguori, un uomo per i senza speranza di Théodule Rey-Mermet - Città Nova Editrice, 1987
Alfonso M. de Liguori e la società civile del suo tempo - Atti del Convegno intenazionale per il Bicentenario della morte del santo, a cura di Pompeo Giannantonio - Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1990.

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