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LA VERA GLORIA
di Lucio Anneo Seneca

Indice III | II | I | Spotlights | Controcorrente

Prefazione

Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.)

Lucio Anneo Seneca
(4 a.C.-65 d.C.)

L'ingegno di Seneca è alieno da qualunque sistema precostituito e le sue meditazioni, più che costituire procedimenti speculativi, sono mirabilmente legate ai casi degli uomini e della storia. Nell'evoluzione della filosofia senechiana si coglie però un progressivo distacco dall'impegno civile di uomo tra gli uomini, con un disperato desiderio di agire attraverso gli scritti ad esempio a favore dei propri simili. Nell'ultima parte della sua vita si servì degli studi, delle conversazioni e soprattutto delle meditazioni, quali mezzi per iuvare (giovare) agli altri. Frequentissimi sono i passi in cui Seneca invita l'uomo a prendersi cura del proprio prossimo. Nel De Otio (III, I, 4) scrive: «quello che invero si pretende dall'uomo è che egli serva agli uomini; se è possibile a molti, e no a pochi si pretende, diversamente a sé stesso».
Da secoli si insiste su un fondamentale dualismo dell'uomo, al quale si muove l'accusa di predicare in un modo e di vivere in un altro: predica la povertà, ma fa speculazioni economiche spregiudicate; dice di voler aiutare gli altri ad essere migliori, ma si macchia di connivenze e debolezze interessate. Quintiliano poco soffre il filosofo per quel suo stile sincopato  e Melville non prova per lui alcuna simpatia: quando - visitando l'Italia nel 1859 - vide il suo busto emaciato, disse che gli ricordava tanto un banchiere di Wall Street: uno che si tormenta per gli interessi non riscossi e per i debitori latitanti.
Giovanni Reale lo definisce, recentemente, «modernissimo nella sua ansia di conciliare la propria filosofia di vita con la pratica quotidiana di un'esistenza in anni difficili e inquieti della Roma imperiale. […] Il suo pensiero si rivolge, come pochi altri, agli uomini e alle donne di oggi, esprimendo i problemi, le angosce, le incertezze del mondo contemporaneo».
Le
Epistulae morales ad Lucilium, da cui è tratta la lettera XXI La vera Gloria,  è il capolavoro filosofico di Seneca. Meditazioni e discussioni dallo stile nervoso, frammentario, decisamente anticlassico le definisce Luca Canali da far storcere il naso ai contemporanei, ma che invece si avvicina molto alla sensibilità moderna.
Luca Liguori (9 febbraio 2004)
 

La vera gloria - Seneca Lucilio suo salutem
Credi di aver briga con quelle persone di cui mi hai scritto? In realtà ti danno più da fare i crucci che ti procuri da te stesso. Non sai con chiarezza quello che vuoi; ti è più facile lodare la virtù che seguirla; vedi dove sta la felicità, ma non osi raggiungerla. E poiché non riesci da solo a distinguere ciò che t'impedisce di progredire, te lo dirò io. Tu dai troppa importanza a quello che devi lasciare, e dopo aver vagheggiato la tranquillità che ti proponi di raggiungere, non sai distaccarti dal  falso splendore di questa tua vita; come se poi dovessi cadere in una vita bassa e oscura. Sbagli, ,caro Lucilio: dalla tua vita presente a quell'altra si sale. Fra le due condizioni di vita passa la stessa differenza che c'è fra una cosa che brilla di luce riflessa e un'altra che ha in sé la sua fonte luminosa. La prima riflette una luce che viene dall'esterno, e chiunque s'interpone subito proietta una fitta ombra; la seconda è illuminata dalla sua viva luce. Il culto della filosofia ti farà risplendere di questa luce. Ti porterò l'esempio di Epicuro. Scrivendo a Idomeneo per volgerlo da una vita appariscente (era un uomo di potenza regale, che trattava importanti affari pubblici) a una gloria sicura e durevole, gli dice: «Se brami la gloria, ti daranno maggiore fama queste mie lettere che tutte codeste brighe che ti tengono occupato e per le quali godi un prestigio così effimero». Aveva forse torto? Chi avrebbe ora notizia di Idomeneo, se Epicuro non ne avesse scolpito il nome nelle sue lettere? Tutti questi magnati e satrapi, e lo stesso re da cui proveniva a Idomeneo ogni titolo di grandezza, sono sprofondati nell'oblio. Allo stesso modo le lettere di Cicerone han fatto sì che non perisse il nome di Attico. Non avrebbe giovato alla sua fama né il genero Agrippa, né Tiberio, marito della sua nipote, né il pronipote Druso Cesare; fra questi grandi nomi, il suo sarebbe ignorato, se Cicerone non lo avesse legato a sé. Il tempo sommerge gli uomini nelle sue acque profonde: solo pochi ingegni eletti sollevano il capo; sebbene siano anch'essi destinati a scomparire prima o poi nel silenzio, resistono a lungo alla dimenticanza e fanno valere il loro diritto alla fama. Ciò che Epicuro ha potuto promettere al suo amico, io lo prometto a te, o Lucilio: io troverò favore presso i posteri, e posso trarre con me dall'ombra nomi di amici che vivranno a lungo. Il nostro Virgilio promise eterno ricordo a due fanciulli, e mantenne la promessa: «Oh, fortunati entrambi! Se il mio poema ha qualche valore, non sarete più sottratti alla memoria delle future età, finché la stirpe di Enea avrà sede accanto alla salda rupe del Campidoglio e il popolo romano conserverà l'impero»!. Coloro a cui la sorte permise di farsi avanti nella vita, o che ebbero parte nella potenza altrui, finché vissero godettero il favore popolare ed ebbero la casa frequentata; ma subito dopo il loro ricordo si è spento. La gloria degli spiriti eletti cresce col passare del tempo, e non soltanto essi vengono onorati, ma è sottratto all'oblio tutto ciò che è collegato alle loro persone.

Ora, perché non avvenga che Idomeneo sia stato citato nella mia lettera gratuitamente, sarà lui a pagare di sua tasca il mio debito. A lui Epicuro indirizzò quella nobile massima in cui lo esorta ad arricchire Pitode, ma non con i mezzi comuni, che sono malsicuri. «Se vuoi far ricco Pitocle,» egli dice «non aumentare il suo danaro, ma riduci i suoi desideri.» È una massima troppo chiara ed eloquente per aver bisogno di spiegazioni. Tuttavia, non pensare che la massima valga solo per le ricchezze; a qualunque argomento tu la riferisca, avrà lo stesso valore. Se vuoi rendere Pitocle veramente onorato, non procurargli altri onori pubblici, ma riduci i suoi desideri; se vuoi che Pitocle abbia piaceri durevoli, non dargli altri piaceri, ma riduci i suoi desideri; se vuoi procurargli una lunga vita piena di soddisfazioni, non aumentare il numero dei suoi anni, ma riduci i suoi desideri. Non credere che questi precetti siano solo di Epicuro; essi sono ormai accettati da ogni uomo saggio. Penso che anche con i filosofi si debba applicare il metodo usato in senato. Se uno esprime una dottrina che io approvo solo parzialmente, lo invito a dividere il suo pensiero in parti, ed io seguirò solo le massime che approvo.

Cito più volentieri Epicuro perché a tutti coloro che in lui si rifugiano, tratti dalla fallace speranza di coprire con un velo i propri vizi, voglio ricordare con le sue stesse parole che devono anzitutto vivere onestamente, qualunque sia la conclusione a cui giungono. Quando ti avvicini ai bei giardini di Epicuro... «Ospite, qui starai molto bene; qui il sommo bene è il piacere». E prontamente ti verrà incontro il custode della casa, un vecchio ospitale e cortese; egli ti metterà innanzi un bel piatto di polenta e ti mescerà anche acqua in abbondanza; ti chiederà: «Sei soddisfatto dell'accoglienza? In questi giardini gli stimoli della fame non si eccitano, ma si estinguono; né la sete aumenta col bere, ma è sedata da un rimedio naturale e gratuito. Nel godimento di questi piaceri sono giunto alla vecchiaia». Parlo di quei desideri che non si possono estinguere con belle parole, ma richiedono qualcosa per farli cessare. Riguardo a quelli che non sono desideri ordinari e che si possono differire, tenere a freno e correggere, ti do solo questo avvertimento: è naturale che tu cerchi di soddisfarli, ma non è necessario. Non hai nessun obbligo verso di essi, e se spendi qualcosa per il loro appagamento lo fai di tua volontà. Il ventre è sordo agli ammonimenti: esige e reclama. Ma non è un creditore molesto: si contenta di poco, purché tu gli dia appena il necessario e non tutto quanto potresti dargli. Addio.
 

Lucio Anneo Seneca

Il testo in latino

Eneide. Celebre passo in cui Virgilio esalta la memoria dei due giovani eroi troiani Eurialo e Niso.
 Giardini situati vicino ad Atene, dove Epicuro visse con gli amici e i discepoli della sua scuola filosofica.

Fonti:
Epistulae morales ad Lucilium di Lucio Anneo Seneca (Libro II, Lettera 21). Traduzione di Giuseppe Monti. Biblioteca Universale Rizzoli, 1998

Seneca - la vita il pensiero i testi esemplari di Gino Giardini - Edizioni Accademia Milano, 1972.
La filosofia di Seneca come terapia dell'anima di Giovanni Reale. Tascabili Bompiani, gennaio 2004.

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