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ll manager con l'elmetto

Anziché trastullarsi su una comoda poltroncina nel chiuso condizionato di un’aula, i nostri si costringono a faticare, sudare e nebulizzare le scariche di adrenalina su accidentati percorsi di guerra. Questa è l'ultima frontiera dei corsi di formazione.

di Luca Liguori

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La scuola dei manager? In trincea, inserito nella rubrica Weekend  senza tregua dell’ultimo numero del Venerdì di Repubblica - ci ha aggiornati sull’ultima frontiera dei corsi di formazione denominati Softair Training: giocare a fare la guerra. I manager, indossando tuta mimetica, scarponi ed imbracciando pesanti fucili, si devono lanciare in improbabili avventure su un finto campo di battaglia per apprendere rudimenti su come meglio guidare un’azienda. Anziché trastullarsi su una comoda poltroncina nel chiuso condizionato di un’aula, i nostri si costringono a faticare, sudare e nebulizzare le scariche di adrenalina su accidentati percorsi di guerra, trascinando con fatica il grasso esploso impietosamente nei lunghi periodi passati alla scrivania. Il Softair Training – dice la Dal Maso citando il consulente aziendale Massimiliano Marcaccini – è l’ultima nata tra le strategie di formazione per manager, e si ispira all’addestramento militare e alla filosofia dell’Outward Bound di Kurth Hahn. Tale termine - perso il suo significato iniziale di “nave che lascia il porto” - viene usato adesso dai teorici della formazione per indicare un qualsiasi territorio avverso. 

«In mimetica ho capito: l’unione fa la forza», testimonia un manager che, seppure inizialmente riluttante perché antimilitarista, si è dichiarato entusiasta degli insegnamenti  ricavati. «Si» -. aggiunge - «la guerra ti costringe a cambiare modo di ragionare. A tirare fuori tutte le tue energie, fisiche e mentali, anche quelle che non credevi di avere».
Non sappiamo se prima di imbracciare un fucile sia stato prevista anche una sessione di addestramento teorico indoor sulla strategia militare; dovrebbe essere propedeutica a nostro avviso. Già immaginiamo pettoruti generali in servizio o in pensione che dissertano sul pensiero strategico di Karl von Clausewitz o – con maggiori probabilità visto che von Clausewitz si ritiene superato - dell’Arte della guerra del filosofo-generale taoista Sun Tzu, vissuto in Cina dal V al IV secolo avanti Cristo e contemporaneo di Platone.

E’ Sun Tzu – infatti - la star del momento. Tanto è vero che Lucy Kellaway, giornalista del Financial Times e autrice del bestseller Sense and Nonsense in the Office, degrada tutti i moderni guru di management attribuendo i galloni di precursorre al filosofo cinese vissuto 2500 anni fa.
Una volta tanto - però - noi italiani abbiamo bruciato sul tempo gli inglesi. Da anni Massimo D’Alema possiede e ne fa bella mostra una copia del trattato in cinese scritta su canne di bambù, e Franco Bermabé - attuale presidente della Biennale di Venezia - si è dichiarato suo fan fin dal 1998.

Nel frattempo, è arrivato in libreria (che tempismo quando soffiano forti venti di guerra) La vertigine della guerra: ultima fatica di un romantico come Roger Callois che confessa di soggiacere ancora al suo fascino (la guerra) e condivide la definizione che gli diede Karl Otto: tremenda e fascinosa.

Non in contemporanea, come avrebbe voluto con le celebrazioni del sessantesimo anniversario dell’epica battaglia di El Alamein - che vide la sconfitta dell’armata italo-tedesca contro gli inglesi - verrà proiettato nelle sale italiane l’ultima fatica di Enzo Monteleone: El Alamein – La linea del fuoco. Nel film si racconta, senza retorica, del sacrificio di soldati semplici e in maggioranza di leva che seppero opporsi a un nemico molto più forte, e che non trovarono né solidarietà dai loro alleati né apprezzamento dalla parte avversa. A più di mezzo secolo di distanza, però, due studiosi inglesi hanno ricostruito le tappe della campagna d’Africa riconoscendo per la prima volta i dovuti meriti umani e militari alle nostre truppe. Nel libro The Battle of Alamein: Turning Point, World War II, gli autori John Bierman e Colin Smith sfatano finalmente la nomea degli italiani sempre pronti alla fuga. 

Tornando al Softair Training, restiamo stupiti dalle convinzioni che avevano i nostri antenati quando instaurarono la leva obbligatoria nell’Italia post-unitaria proseguendo nella tradizione sabauda, mentre adesso i nostri governanti la stanno smantellando. I nostri genitori ci consideravano maturi solo a servizio militare assolto e solo dopo di questo ci ritenevano pronti ad affrontare le difficoltà della vita. Senza saperlo,  molti di noi hanno scroccato alle casse dell’Erario un corso di formazione che ora fior di consulenti offrono dietro lauto compenso.

«Quando parliamo dei generali intendiamo discutere della saggezza, della credibilità, della benevolenza, del coraggio e della rettitudine morale dei comandanti», diceva Sun Tzu. Caratteristiche - parafrasando Preston e Wise, autori  della Storia sociale della guerra - che  sicuramente riflettono la bontà o meno della società da cui i manager derivano.

(22 ottobre 2002)

 

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